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Migliori dopo il Covid? No, siamo più cattivi, diffidenti e paurosi

di Salvo Buttitta

Ci eravamo tanto illusi. Ci avevamo creduto. Ci siamo impegnati e abbiamo avuto fiducia. «Andrà tutto bene», abbiamo ripetuto, convinti di farcela. E infatti ce l’abbiamo fatta a uscire (o quasi) dal tunnel della prima ondata che ha duramente colpito l’Italia, ma non è vero che è andato tutto bene, non è vero che tutto va bene e soprattutto che dopo l’esperienza del Covid siamo migliorati. Anzi. Oggi stiamo affrontando una seconda e più violenta ondata, e la prima sembra non averci insegnato nulla. Proviamo a ripercorrere indietro il tempo, a viaggiare nei mesi di questa pandemia. Iniziamo da marzo quando l’incipiente primavera si faceva già annusare, chi poteva si stava godendo gli scampoli delle sciate sull’ultima neve, già si cominciava a sognare la vacanza estiva e a programmare le prime scampagnate.

La pandemia resterà una pietra miliare nella nostra storia, in quella collettiva e soprattutto in quella individuale. «Andrà tutto bene», ci dicevamo per convincerci che così sarebbe stato. C’è stato chi lo ha detto in musica, chi con la grafica o la pittura. I bambini hanno disegnato arcobaleni da esporre ai balconi e sono stati loro, i bambini, a infonderci fiducia, mentre erano loro i primi ad aver bisogno di consolazione. Com’era il mondo prima del Covid? E com’è adesso? Saremo tutti migliori, ci dicevamo – perché volevamo cogliere segnali maturi di una solidarietà mai vista tra noi. Migliori? Chi: noi? Ma per favore! Ricordate? Quando ci siamo dati appuntamento sui balconi attraverso i social per cantare l’inno nazionale a squarciagola a uso e consumo delle telecamere di mezzo mondo, che poi inevitabilmente ci ha pure copiato. All’estero non hanno cantato l’Inno di Mameli per carità di patria, ma hanno intonato Bella ciao, trasformando noialtri in partigiani della Sanità. E noi, a nostra volta abbiamo cercato il modello cardine cui immolare il nostro sacrificio e abbiamo trasformato in eroi i medici e gli infermieri, vittime in servizio di un sistema violato e violentato dalla ragion politica più che dai conti dello Stato. Più sanità privata di eccellenza e meno sanità pubblica di base: lo abbiamo fatto per decenni, salvo inneggiare adesso ai nostri eroi. Abbiamo issato il Tricolore sui nostri balconi, manco stesse per scendere in campo la Nazionale di calcio ai Mondiali. Siamo stati buoni buoni in casa come ci hanno ripetutamente raccomandato dagli schermi dei social e delle televisioni i politici, gli scienziati (veri o presunti), gli intellettuali e gli artisti di turno. «Andrà tutto bene e saremo migliorati da questa esperienza» ci dicevano, e noi ci abbiamo creduto. Non siamo migliorati, anzi. La verità è che siamo e stiamo peggio di prima, ci siamo incattiviti, abbiamo paura l’uno dell’altro e abbiamo perso la fiducia reciproca. Secondo l’ultimo rapporto del Censis per il 61,6% la festa di Capodanno sarà triste e rassegnata. Non andrà tutto bene: il 44,8% degli italiani è convinto che usciremo peggiori dalla pandemia (solo il 20,5% crede che questa esperienza ci renderà migliori). Non solo tristi e rassegnati. Siamo diventati più cattivi, intransigenti, e paurosi. Anche se il 57,8 per cento degli italiani, con un picco del 64,7 tra i giovani tra i 18 e i 34 anni, è favorevole a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva. Però i segnali di ‘magnanimità’ finiscono qui. Il 77,1 per cento degli italiani, infatti, chiede pene severissime per chi non indossa la mascherina (sale a 82,5 nella fascia di età 18-34 anni) e il 56,6 per cento invoca il carcere per i positivi che trasgrediscono l’obbligo di quarantena. Non solo più cattivi, ma anche afflitti da una diseguaglianza sociale dilatata dal Covid. Il 90,2% degli italiani è convinto che l’emergenza sanitaria e il lockdown hanno danneggiato maggiormente le persone più vulnerabili, ampliando le disuguaglianze sociali già esistenti. Una percezione che trova riscontro nei dati: 1.496.000 individui (il 3% degli adulti) hanno una ricchezza che supera il milione di dollari (circa 840.000 euro). E di questi, 40 sono miliardari e sono aumentati sia in numero che in patrimonio durante la prima ondata dell’epidemia. Un divario a cui ha contribuito anche il ricorso generalizzato alla didattica a distanza durante il lockdown. Per il 74,8% dei dirigenti la didattica a distanza ha di fatto ampliato il gap di apprendimento tra gli studenti. Il Covid ci ha insegnato che abbiamo poca fiducia negli scienziati, ma dobbiamo averne tanta nella scienza; così come abbiamo zero fiducia nei politici ma tanta nella politica. Non siamo migliorati perché siamo diventati più insipienti, più ignoranti, più depressi e più poveri. Facciamo finta di non capire i danni alla formazione della persona prodotti dalla didattica a distanza e i nostri figli pagheranno caro nel tempo il prezzo del distanziamento. Siamo peggiorati perché siamo diventati più rissosi, più cattivi.

La politica è all’avanguardia in questo, come è ovvio che sia. Stiamo ancora contando i morti e i contagi, eppure invochiamo le elezioni, programmiamo il «nuovo» Quirinale, discettiamo di finanziamenti e alleggerimenti fiscali come se avessimo solo da rompere il salvadanaio in terracotta e distribuire un tesoretto. Stiamo sbagliando tutto, perché a tutto abbiamo pensato tranne che a far ripartire la Cultura, vero motore di una comunità perché insiste sulla sua identità. Ci siamo illusi e ne paghiamo il prezzo, come al solito ci riscopriamo un popolo di corta memoria, va bene così. Così va tutto bene.