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IMU: destino inevitabile o colpevole negligenza?

di Alessio Tacconi – 

 

Da parecchi anni, il pagamento dell’imposta sulla proprietà immobiliare in Italia fa molto discutere, soprattutto all’estero, poiché chi risiede oltre confine vede la sua abitazione ingiustamente considerata come “seconda casa”, anche quando lo stesso proprietario non possiede nessun altro immobile, né in Italia né all’estero. Senza ripercorrere qui tutti i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni, è importante ricordare come l’ultimo passo compiuto per rimediare a questa palese e, spesso, incomprensibile ingiustizia è arrivato nel 2014, quando l’allora governo a maggioranza PD, grazie anche al forte impegno dei senatori eletti all’estero, approvò l’esenzione dal pagamento dell’IMU sulla prima casa almeno per i connazionali iscritti all’AIRE e pensionati nel paese di residenza estero, a partire dal 2015. Va detto che l’obiettivo finale, cui ha lavorato anche il sottoscritto in quanto Deputato nella scorsa legislatura, era l’approvazione dell’esenzione dal pagamento dell’IMU per tutti i connazionali all’estero, o almeno per coloro in grado di dimostrare che quell’immobile fosse in effetti una “prima casa”. 

Oggi, purtroppo, registriamo un doloroso passo indietro: la Legge di Bilancio 2020, approvata dal Parlamento lo scorso dicembre, ha abolito, con un semplice tratto di penna, l’esenzione IMU per i connazionali residenti all’estero e pensionati nei rispettivi Paesi di residenza. Tale cancellazione è stata spiegata con la procedura d’infrazione da parte dell’UE, che ha accusato l’Italia di non rispettare il principio di non discriminazione, agevolando esclusivamente i cittadini italiani residenti all’estero e non anche quelli comunitari in possesso di un immobile in Italia.

Per molte famiglie questa decisione rappresenta veramente un grande problema: si tratta di un’imposta onerosa che amplifica la questione della fiscalità a carico degli Italiani all’estero che conservano tali immobili principalmente per il loro valore affettivo. La decisione del Governo e del Parlamento lascia perciò l’amaro in bocca, amarezza che è ancor più grande se si considera come i nostri rappresentanti in Parlamento poco o nulla abbiano fatto per evitare o rimediare a questa infausta decisione. Infatti, l’impressione generale, che qui riporto, è che non solo si siano fatti sorprendere dalla proposta del Governo ma che non abbiano poi messo in campo un impegno collegiale per impedire il peggio. Per capire esattamente quanto avvenuto, sono andato a verificare gli atti parlamentari sulla discussione avvenuta in Commissione Bilancio del Senato. Ebbene, nessun emendamento alla decisione del Governo è stato fatto votare alla Commissione. L’unico emendamento presentato, peraltro privo di attendibili coperture finanziarie, è stato ritirato prima ancora che potesse essere messo ai voti. Non mi meraviglia del resto che l’emendamento sia stato ritirato: anche i senatori che lo avevano presentato si erano resi conto che sarebbe andato incontro a una sicura bocciatura in quanto, come detto, carente di una copertura finanziaria adeguata. Oltre al costo, la stessa platea dei potenziali beneficiari indicata nell’emendamento si rivelava del tutto aleatoria, laddove parlava di “soggetti pensionati non residenti nel territorio dello Stato”: non è chiaro se ci si riferisse, dunque, ai soli cittadini comunitari (la cui esenzione avrebbe fatto venir meno le minacce d’infrazione per disparità di trattamento) o anche a chi risiede fuori dall’Unione Europea. La mancanza di corrette indicazioni numeriche su questi aspetti (numero di beneficiari e costo finale dell’esenzione richiesta) ha affossato la proposta sul nascere. In altre parole, sarebbe stato opportuno che qualcuno dedicasse il tempo e l’impegno necessari per stabilire quanti avrebbero dovuto essere gli immobili oggetto dell’esenzione proposta, la loro rendita catastale media (che è alla base della tassazione in parola) e quanti i cittadini beneficiari. La questione avrebbe obiettivamente meritato un po’ più di attenzione da parte dei nostri rappresentanti, per la difesa dei diritti e delle aspettative delle comunità italiane all’estero. Si è scelta, al contrario, la via più corta e impervia, chiedendo inutilmente allo Stato una sorta di assegno in bianco per trovare le necessarie (ma ignote) coperture finanziarie. Diverso era stato il lavoro preparatorio nel 2014 da parte dei Senatori del Partito Democratico. Infatti, sebbene la cifra indicata per la copertura dell’esenzione per i pensionati all’estero, calcolata in 6 milioni di Euro, fosse probabilmente sottostimata, l’efficacia del lavoro di calcolo e politico fu tale da convincere la Commissione Bilancio a ritenere la stima attendibile e ad approvare la proposta.

Con mio stupore devo purtroppo annotare che alcuni eletti all’estero continuano a perseverare negli stessi errori, con una costanza degna di miglior causa, presentando alcuni successivi (ma forse è meglio dire postumi) atti parlamentari in cui chiedono nuovamente un generico impegno a ripristinare l’esenzione, senza indicarne il relativo costo e coperture. Per questi motivi, le grida di dolore che salgono ora dal Parlamento suonano sgradevoli e fuori luogo, proprio mentre molti connazionali si preparano a pagare parcelle molto salate.

Non voglio alimentare sterili polemiche, ma non posso non costatare che tali insuccessi politici, seguiti poi dai soliti rumorosi proclami farciti di giustificazioni trite e ritrite, sono spesso la conseguenza di carente lungimiranza e, forse, di un filo di negligenza. Questo comportamento ha segnato anche altre recenti sconfitte politiche su temi che interessano gli italiani all’estero come quelle riguardanti la riduzione del numero dei parlamentari e il rinvio delle elezioni dei Comites e del CGIE. Anche in queste occasioni, abbiamo assistito a un disorientante silenzio: nessun atto parlamentare, qualche comunicato stampa, che pure i parlamentari eletti all’estero sfornano senza sosta per argomenti ben più futili. Mai, come negli ultimi mesi, le comunità italiane oltre confine si sono sentite abbandonate a se stesse e private dell’attenzione che meritano.

Qualcuno si chiede provocatoriamente se sia meglio costruire o distruggere. Va da sé che occorra da parte di tutti una costante disponibilità a costruire. Il problema, però, ormai sembra essere un altro: avanti di questo passo, presto non resterà più niente da distruggere.