di Franco Narducci [Corriere degli Italiani, 7 novembre 2018]
Toni Ricciardi è originario di Castelfranci, in Irpinia, terra generosa che ha dato all’Italia vari protagonisti della vita politica, fino ai massimi vertici di governo e delle istituzioni. Laureatosi in Scienze politiche nel 2003 all’antichissima Università di Napoli “L’Orientale” (fondata nel 1732), nel 2010 ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia dell’Europa.
Oggi è storico delle migrazioni all’Università di Ginevra. Condirettore della collana Gegenwart und Geschichte (Seismo), è tra i coautori del Rapporto italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, del primo Dizionario enciclopedico delle migrazioni italiane nel mondo (Ser, 2014) e membro del comitato editoriale di Studi Emigrazione. Ha scritto, tra l’altro, Associazionismo ed emigrazione. Storia delle Colonie Libere e degli Italiani in Svizzera (Laterza, 2013), L’imperialismo europeo (Corriere della Sera, 2016) e, con Donzelli, Morire a Mattmark. L’ultima tragedia dell’emigrazione italiana (2015), Marcinelle, 1956. Quando la vita valeva meno del carbone (2016), e Breve storia dell’emigrazione italiana in Svizzera. Dall’esodo di massa alle nuove mobilità (2018).
Il recente congresso del Partito Democratico Svizzera ha eletto Toni Ricciardi alla carica di Segretario, mettendo fine alla fase d’incertezza e divisioni vissuta nel dicembre 2017.
Ricciardi, il 28 ottobre si è concluso un lungo percorso di ricostruzione del PD in Svizzera, culminato con il congresso e la sua elezione a Segretario. Come ha vissuto questa fase?
È stato un tantino faticosa, ma arricchente. Ho trascorso gli ultimi mesi a sforzarmi di ascoltare ogni storia ed esperienza umana legata al partito e ai tanti ragazzi che, appena arrivati dall’Italia, hanno avuto la voglia di impegnarsi in questo lungo e tortuoso cammino.
L’eredità affidatale è pesante: il centrosinistra, incarnato ora dal PD, è stato per più di mezzo secolo il protagonista indiscusso dell’emigrazione italiana in Svizzera e dell’antifascismo.
Sento tutto il peso nel guidare il più grande partito italiano all’estero e sono consapevole della sua storia e del suo trascorso. Così come conosco le storie di centinaia di migliaia di italiane e italiani che hanno fatto la storia della Svizzera. D’altronde, senza una profonda conoscenza del passato, senza rispettarlo, non si può costruire il futuro.
Oltre al Segretario, il congresso ha eletto il vertice del PD Svizzera. S’intuisce che vi è un visibile rinnovamento generazionale, sono scomparsi i vecchi protagonisti della politica in Svizzera. Scelte volute o segno dei tempi?
Si è così, il congresso ha anche eletto Alessio Tacconi al ruolo di presidente e Paolo De Simeis come Tesoriere. Abbiamo fatto un salto generazionale voluto. Anche in Svizzera serviva un ricambio generazionale, ma qui non scompare nessuno, anzi. Ho già previsto nelle prossime settimane la convocazione della prima direzione, durante la quale ufficializzerò la nuova segreteria, composta da esperienze e innovazione. Le due cose non sono in contrasto, vanno integrate e fatte convivere insieme. D’altronde la storia e i valori si trasmettono, non si comprano al supermercato o su internet.
Cosa proporrete agli italiani in Svizzera, non solo a quelli sensibili alle ragioni del centrosinistra?
Quotidianità, quotidianità, quotidianità. Parrà poco, ma non lo è. Abbiamo la necessità di risintonizzarci con la nostra gente, con le diverse generazioni che vivono problemi, ansie, paure diverse verso le quali un grande partito si deve porre in ascolto per cercare soluzioni. Le italiane e gli italiani in Svizzera, di qualsiasi orientamento, debbono avvertire l’utilità di un partito all’estero. Altrimenti a cosa serviamo? Sarà certamente difficile, ma ci proviamo. Almeno questo concedetecelo.
Da sempre i partiti nazionali lasciano poco spazio per gli eletti all’estero. Incapacità degli eletti o poca avvedutezza degli organi nazionali?
Diciamolo chiaramente: gli eletti all’estero sono pochi. Tuttavia, il passato c’insegna che quando si fa squadra si riescono ad ottenere risultati. Credo si debba continuare nella sinergia naturale che è nata negli ultimi mesi tra federazioni all’estero, rivendicando con forza rappresentanza e visibilità. Se la migrazione è il tema da anni in Italia e per tutte le cancellerie di mezzo mondo, allora chi crede possa dare un maggiore contributo di comprensione, analisi e proposta se non le italiane e gli italiani all’estero? Poi, la politica ha anche le sue regole e le sue abitudini purtroppo.
Si spieghi meglio…
Nel senso che vengono prima gli interessi delle comunità che si rappresentano e poi i percorsi personali. Se facessimo nostra questa semplice regola, forse riusciremmo a migliorare qualcosa e avere maggiore spazio. Spazio che nessuno concede se non lo si va a prendere. Bisogna però sempre avere chiaro che nessuno si salva da solo e nessuno cresce da solo.
La comunità italiana, non solo in Svizzera, pare disamorata alle vicende italiane. Colpa dei processi d’integrazione o di risultati inferiori alle aspettative?
I partiti sono associazioni e come le associazioni soffrono la difficoltà del ricambio generazionale e di ritrovare una funzione sociale. A partire dagli anni ’80 ci si è concentrati, giustamente, verso la Svizzera per ottenere maggiori diritti e sentendosi anche, per fortuna, maggiormente integrati e accettati. Il mondo, i rapporti sociali e la comunicazione sono cambiati, e potrei continuare. Quindi, anche le strutture con un impianto novecentesco devono cambiare. Il che non significa cancellare storie, bensì, trovarne il senso per rilanciarle nel futuro.
Ma la scarsissima partecipazione per il rinnovo dei Comites sembra confermare il calo di entusiasmo…
Beh, più che calo d’entusiasmo, quando il legislatore modifica le leggi della partecipazione senza preoccuparsi di comunicarle adeguatamente, la partecipazione cala. È naturale. Come per il voto degli italiani all’estero, servono modifiche, certo, ma immaginare di chiedere ad una persona di preannunciare la volontà di votare mesi prima del voto stesso è una follia e purtroppo i fatti l’hanno già ampiamente dimostrato.
Eppure, la nuova emigrazione rilancia la necessità di costruire reti di solidarietà come in passato; non tutti, infatti, arrivano con un contratto e la precarietà colpisce anche i nuovi emigrati…
Come dicevo prima, dopo gli anni ’80 ci si è concentrati su altro immaginando che il fenomeno si fosse interrotto. Questo non è mai accaduto e nell’ultimo decennio gli arrivi sono cresciuti in maniera significativa, facendo della Svizzera la terza meta al mondo. A ciò aggiungiamo che non sono i cervelli ad arrivare, fatto nel quale non ho mai creduto, bensì giovani e meno giovani che per oltre il 60% non hanno nemmeno la laurea. Dobbiamo riflettere su come recuperare una tradizione di assistenza, aiuto e ascolto che nessuno fa più. Questa sarà una delle prove più difficili che ci dovrà vedere impegnati.
I problemi legati alla “voluntary disclosure” (scambio automatico delle informazioni tra Italia e Svizzera) sono stati maldigeriti, soprattutto per quanto riguarda il possesso di una casa in Italia. Cosa propone il PD Svizzera?
Un tavolo bilaterale, Svizzera-Italia, per ridefinire i parametri. La doppia imposizione è vietata. È vero, l’autodichiarazione è in vigore dalla fine degli anni ’70. Tuttavia, l’aumento del valore catastale che avviene in alcuni Cantoni è inaccettabile. Una casa di campagna non può subire una rivalutazione catastale sui parametri, ad esempio, del Canton Vaud o di altri che usano la stessa modalità. Detto in altre parole, occorre parlarsi e usare il buon senso capendo le ragioni delle parti in causa. Tenendo presente che questa non è una battaglia del PD, ma di tutta la politica e del mondo associativo senza distinzioni.
L’Europa costruita dopo la tragedia della seconda guerra mondiale è ora attaccata da suprematisti e populisti. Cosa può fare il PD con la sua fitta rete di emigrati in Europa e come possono reagire le socialdemocrazie?Bisogna raccontare la storia e le storie. Servono esempi, soprattutto da chi ha vissuto le difficoltà sulla propria pelle. Lo dico spesso quando parlo con la prima generazione: ha il dovere di raccontare il periodo delle baracche perché rappresenta l’antidoto più potente contro ogni forma di razzismo e xenofobia. D’altronde, i populisti, che sono di fatto fascisti, si nutrono di paure fomentate dalla perdita di memoria. Le numerose generazioni di italiani in Europa vanno messe a sistema, in una voce unica che sappia costruire una contro-narrazione.
Da poco alla Farnesina si è tenuta la Conferenza dei Consoli italiani nel Mondo: c’è ancora spazio per i temi riguardanti i Corsi di lingua e cultura italiana e i servizi consolari?
Anche in questo caso, dipende da dove si vuole andare. È risaputo che ogni euro investito in cultura e conoscenza ne produce tre, il che rappresenta già una risposta. E poi è una questione strategica. Perché Inghilterra, Francia, Germania o Spagna spendono molto di più dell’Italia in questo settore? Perché è ritenuto strategico!
Concludendo, e pensiamo allo studioso di fenomeni migratori, cosa pensa della stampa italiana all’estero?
La conoscenza, la diversità, il pluralismo sono valori inalienabili. Da sempre, chi controlla l’informazione controlla il potere. Era così nel medioevo, lo è a maggior ragione oggi. Assistiamo continuamente ad accorpamenti e acquisizioni che ledono il pluralismo. La stampa, la buona stampa, per essere libera e per fare inchiesta e informazione ha un costo. Tuttavia, non si possono continuare a drenare risorse verso testate inesistenti e inconsistenti a discapito della qualità. Anche la stampa all’estero, però, come l’associazionismo e i partiti, deve inevitabilmente stare al passo con i tempi.
Grazie per questa lunga chiacchierata.
Grazie a lei presidente e buon lavoro.