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I buoni fruttiferi postali e il peso della lontananza

01.02.2020

di Paola Fuso Cappellania (resp. Dipartimento Comunicazione PdSvizzera)​

Uno degli argomenti piu’ spinosi per gli italiani all’estero è dato dai buoni fruttiferi postali ed il motivo per cui questo strumento sta togliendo il sonno ai nostri connazionali è presto detto: per decenni (la prima emissione è del 1924) i risparmi di una vita passata lontano dalla propria casa, dalle proprie famiglie, sono stati investiti in buoni fruttiferi postali con la speranza da li’ a 20 anni o 30 anni, in alcuni casi, di ricevere un buon ritorno economico.
Ebbene per molti di noi questo non sta accadendo a causa di leggi di cui puntualmente e colpevolmente siamo ignari o di meccanismi burocratici che fagocitano i sacrifici di una vita.
Per motivi di sintesi direi che i problemi che i nostri italiani residenti all’estero possono incontrare una volta che decidono di incassare il “prezioso” buono sono di diversa natura: 1) la tassazione, 2) i buoni a scadenza trentennale emessi agli inizi degli anni ’80, 3) la prescrizione dei buoni con loro destinazione al Fondo per le Vittime delle Frodi Finanziarie (cd. Conti dormienti), 4) la riscossione tramite modulo messo a disposizione presso le Sedi Consolari Italiane.

1) Per quanto riguarda la tassazione ci si riferisce al fatto che al momento dell’incasso i buoni vengono tassati in maniera ordinaria. Sennonchè chi è residente all’estero deve dichiarare i proventi nel paese di residenza.
Ne risulta evidentemente una doppia tassazione senza che il cittadino italiano regolarmente iscritto AIRE venga avvisato della necessità di presentare alle Poste un reclamo scritto, necessario per escludere la tassazione in Italia.
L’articolo 6 del Decreto Legislativo 239 del 1 aprile 1996, dispone che «Non sono soggetti ad imposizione gli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari di cui all’articolo 2, comma 1, percepiti da soggetti residenti in Stati o territori inclusi nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168-bis del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917».
Il successivo articolo 7 disciplina le modalità operative per la non applicazione dell’imposta, che le Poste devono seguire. Tra l’altro, l’assenza di tassazione per non residenti è presente anche nei fogli informativi che accompagnano le emissioni dei Buoni Postali Fruttiferi. L’applicazione del citato Decreto e non di altre disposizioni deriva dal fatto che i Buoni Postali Fruttiferi sono emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti e godono della diretta garanzia dello Stato, di conseguenza sono assimilati ai titoli di Stato anche in relazione alla loro fiscalità. Ciò deriva dalla Legge n. 326/2003 che ha sancito la trasformazione in società per azioni della Cassa Depositi e Prestiti equiparando tutti buoni fruttiferi postali emessi fino al 13 aprile 2001, ai titoli del debito pubblico.

2) L’altro problema attiene ai buoni fruttiferi postali appartenenti alla serie “O”, emessi negli anni 1982 e 1983. La caratteristica di tali titoli al momento della loro emissione era rappresentata dalla maturazione del capitale investito, in percentuale di anno in anno secondo lo schema riportato nella tabella dietro il titolo, assicurando, dopo venti anni, la maturazione di un discreto capitale suscettibile di ulteriore aumento con interessi maturati ogni due mesi se riscossi al trentesimo anno. L’ incentivo offerto da Poste Italiane, per indurre alla riscossione trentennale, in quel periodo ha indotto numerose famiglie a preferire tale forma di investimento che consentiva di garantire una discreta rendita anche ai propri eredi.
Ebbene dopo trent’ anni, i risparmiatori titolari di buoni che ne hanno richiesto l’ incasso hanno ricevuto la metà dell’ importo che si attendevano da Poste Italiane S.p.A.. La motivazione discendeva dalla applicazione dell’ art. 173 del D.P.R 29/03/1973 ora abrogato che consentiva, tramite l’ entrata in vigore dei decreti del Ministero del Tesoro, la variazione dei tassi di interesse sia a condizioni più vantaggiose ma anche più svantaggiose di quelle sottoscritte dal risparmiatore. In forza della sopra citata norma, il Ministero del Tesoro ha emanato il decreto n. 148 del 28/06/1986, con il quale si modificavano unilateralmente gli interessi pattuiti in sede di sottoscrizione nel seguente modo: “sul montante dei buoni postali fruttiferi di tutte le serie precedenti a quella contraddistinta con la lettera “Q”, compresa quella speciale riservata agli italiani residenti all’ estero, maturato alla data del 1 gennaio 1987, si applicano, a partire dalla stessa data, i saggi di interesse fissati con presente decreto, per i buoni della serie “Q”.
Ed ecco spiegato l’importo decurtato. Fortunatamente la Corte di Cassazione con sentenza n. 13979 del 2007 ha stabilito che nella disciplina dei buoni postali fruttiferi, il rapporto tra Poste Italiane Spa e il sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta acquistati. Quindi eventuali modifiche unilaterali devono essere opportunamente segnalate al risparmiatore per metterlo in condizione di effettuare una scelta consapevole. In assenza di informazione l’importo ridotto è illegittimo.

3) In ordine alla prescrizione dei buoni fruttiferi postali (ad eccezione di quelli dematerializzati), ricordiamo il rischio che gli stessi confluiscano nel mare magnum dei “conti dormienti”, che sono i rapporti contrattuali intrattenuti con banche e intermediari finanziari per un importo superiore ai 100 euro, che non sono stati movimentati per almeno 10 anni dalla data di libera disponibilità delle somme o degli strumenti finanziari.
Qualora si verifichi la circostanza di cui sopra (non movimentazione per almeno 10 anni), l’intermediario informa il titolare del rapporto di aver a disposizione 6 mesi per “risvegliare” il rapporto, trascorsi i quali il rapporto verrà estinto e le somme e i valori verranno devoluti al fondo speciale istituito presso il MEF per le vittime delle frodi finanziarie.
Il titolare (e i suoi eredi) ha poi ulteriori 10 anni di tempo per presentare domanda di restituzione.
Pertanto la scadenza oggetto di esame, e richiamata nella nota del Ministero, riguarda i rapporti già confluiti al fondo per i quali è scaduto a novembre 2018 il termine prescrizionale dei 10 anni per richiedere il rimborso. Il problema con le Poste è la comunicazione: mentre le Banche usano la corrispondenza, gli uffici Postali affiggono il foglio con le sigle dei buoni nei loro uffici. Si comprende bene come i 6 mesi possono trascorrere senza che il titolare del buono ne venga a conoscenza. Rimane la possibilità di chiedere il ricorso alla Consap entro i 10 anni dalla scadenza.

4) Infine vi è il problema del canale istituito presso i Consolati italiani all’estero per chiedere il rimborso dei buoni. Secondo le spiegazioni contenute sui siti l’intestatario del titolo di risparmio che ne chiede il rimborso deve compilare due moduli: il modello W14 delle Poste Italiane S.p.A. e il modello di scelta della forma di pagamento (assegno bancario o bonifico). Oltre ai documenti di identitä e fiscali, si prevede che i Buoni devono essere presentati in originale. La firma del richiedente deve essere apposta in presenza di un funzionario del Consolato Generale e da quest’ultimo autenticata su entrambi i relativi modelli a presentazione completa della domanda. Il richiedente avrà poi la possibilità di procedere all’invio di tutta la documentazione necessaria per il rimborso (si consiglia per posta registrata ovvero raccomandata A/R o assicurata) a Poste Italiane
Divisione Bancoposta, Direzione Operazioni Servizio Risparmi, Via di Torpagnotta, 2 – 00143 ROMA. E qui sorgono i problemi perchè nel caso in cui la procedura non vada a buon fine (mancata risposta o mancato rimborso) risulta praticamente impossibile mettersi in contatto con il summenzionato ufficio. Allora forse avrebbe senso che oltre ai moduli messi a disposizione, i Consolati Italiani all’estero istituissero un canale istituzionale per raccogliere le eventuali doglianze dei nostri connazionali. Rammentiamo infatti che nella categoria “italiani all’estero” rientrano anche coloro che risidedono dall’altra parte del mondo rispetto a Roma.